SOS PAROLACCE

Mano alla coscienza e sincerità: ogni volta che sentiamo un bambino (che sia nostro figlio o meno) dire una parolaccia, scatta qualcosa dentro di noi, che non riusciamo a controllare.

Inizialmente ci blocchiamo, poi iniziamo ad allarmarci e a cercare di capire dove ha sentito e da chi ha imparato questa temutissima parola.

Infine, inizia l'infinito sermone “Le parolacce non si dicono! Chi te l’ha insegnata? Non voglio più sentirla. Smettila subito!”

Ed è proprio in quel preciso momento che, presi dalla responsabilità che sentiamo (giustamente) di avere, non ci accorgiamo che nei bambini accade qualcosa di naturale: capiscono perfettamente che per gli adulti la “parolaccia” è il fantomatico tasto rosso da premere in situazioni di emergenza.

Non ne conoscono il significato, ignorano l’intenzione di offendere: per loro è semplicemente una sperimentazione dell’ambiente e, soprattutto, dei grandi.


Ma facciamo un passo indietro: cosa spinge i bambini a dire le parolacce? Qual è la causa scatenante?

Ci sono diverse motivazioni celate dietro alla “brutta parola”, sulle quali proviamo a riflettere di seguito.


Ricordiamoci che i bambini sono inseriti in diversi contesti sociali e relazionali, primo fra tutti la scuola.

Partiamo da un esempio: quando a scuola un bambino dice una parolaccia, gli altri compagni ridono, si bloccano, stanno zitti…

Si riconosce, così, in lui una forza e un potere importante (è simpatico, è accettato).

Questo meccanismo porta alcuni bambini a ripetere l’episodio per sentirsi altrettanto carismatici.

La riflessione, ora, sorge spontanea: può essere che dietro questo bisogno di sentirsi come quel compagno (simpatico, importante, forte…) si celi forse un’insicurezza, una scarsa fiducia in se stesso? Come mai? Si sente svalutato? Giudicato?


Cosa succede se si somma la possibilità che ogni tanto scappi a noi adulti una parolaccia e il fatto che i bambini siano delle spugne? Quello che non vorremmo accadesse: i bambini assorbono tutto dalla quotidianità e tramite l’esempio.

Se le parolacce entrano nelle nostre abitudini, è lapalissiano che i bambini le acquisiscano come normali e si sentano liberi di ripeterle.


Può essere che a volte i bambini dicano parolacce solamente per provare e vedere che effetto fa. Non conoscono il significato, non sanno che una parola volgare può anche offendere. L’unico obiettivo è di sperimentare e provocare una reazione.


Quanto tempo impiega un bambino a capire che la parolaccia scatena una reazione immediata negli adulti? 

Spoiler: davvero molto poco.

Per questo a volte la sua intenzione non è di essere volgare o maleducato, bensì di attirare la nostra attenzione. Di stuzzicarci, punzecchiarci.

Se ogni volta che dico una parolaccia, mamma o papà corrono da me, sono attenti (anche se mi sgridano), cercano di distrarmi proponendomi dei giochi, mi accorgo di avere un potere.”

La parolaccia è il tasto che accende e infastidisce mamma e papà e può essere utilizzata intenzionalmente per ottenere l’attenzione verso di sé, per rimarcare la propria posizione.

Come interrompere questo circolo vizioso? Lo avete probabilmente già capito da soli: cerchiamo di mantenere la calma, di non reagire in maniera impulsiva e di non badare alla parolaccia.

Le conseguenze a questo modo di porsi possono essere due: la prima è che piano piano il bambino smetta da solo di usare parole volgari, perché percepisce di non aver più potere sugli adulti e di non scatenare più una reazione in loro; la seconda è che vada avanti imperterrito e, in questo caso, va indagato più in profondità la sua richiesta latente (leggete il prossimo punto).


L’ultimo motivo per cui i bambini iniziano a dire parolacce può essere correlato alla loro difficoltà di verbalizzare come stanno e cosa sta succedendo realmente.

Poniamo il caso che un bambino si senta infastidito e arrabbiato perché l’adulto di riferimento (mamma, papà, nonni, maestre…) non lo ascolta abbastanza, non è presente, non passa con lui tempo di qualità, lo giudica, a volte è scontroso, lo punisce, si arrabbia, ha aspettative alte… I bambini questo lo percepiscono e reagiscono ferendo gli adulti con una moneta più alta: andando a toccare i giusti tasti e usando qualcosa che fa stare male i grandi, le parolacce.

Do ut des. “Tu ferisci me, io ferisco te”.

Non sono capaci di dire “Mamma, papà, sono arrabbiato perchè vorrei che stessi più tempo con me, al posto di fare la lavatrice, stare al telefono, pulire casa o lavorare.” E l’unico modo per scatenare una reazione e attirare la nostra attenzione è puntare sulle parolacce. Perché l’hanno sperimentato, perchè hanno capito che ottengono il nostro interesse e la nostra concentrazione su di loro. Perché non sono stupidi i bambini. Perché capiscono di non avere altro modo per dire “Mamma, papà, ci sono anche io. Vorrei passare tempo diverso con te, vorrei che mi accettassi per quello che sono.” E’ un segnale di allarme.

E anche se attirano la nostra attenzione facendoci arrabbiare, in noi si scatena una reazione immediata che loro percepiscono come attenzioni, cura, tempo insieme.

Se iniziamo a dare più attenzioni di qualità ai bambini, non avranno più bisogno di usare lo strumento parolacce per ricevere interesse.


Quindi cosa fare per prima cosa? 

Cerchiamo di capire la motivazione di fondo che spinge i nostri bambini a dire una parolaccia. Quale tra le 5 ipotesi è quella che più si avvicina al vostro bambino? Scarsa autostima? Bisogno di attenzioni? Vuole dirmi qualcosa? Mi sta testando?

Dopodiché possiamo agire. 

Nel prossimo articolo vi spiego come.