di Dott.ssa Maria Valeria Napolitano, pedagogista, formatrice e fondatrice
del Centro Pedagogico Napolitano
Ci sono momenti dell’anno scolastico che sembrano sospendere il tempo. Uno di questi è il colloquio scuola–famiglia: un incontro breve, spesso troppo breve, in cui due adulti provano a raccontarsi un alunno che – prima ancora – è un bambino.Da un lato c’è la casa. Dall’altro la scuola.In mezzo, un figlio.E, spesso, un groviglio di emozioni.
Il punto di vista dei genitori: quando le parole toccano il cuore
Chi è genitore conosce bene quella stretta allo stomaco che arriva prima delle parole. Basta una frase detta con troppa premura – “Vorrei parlarvi di una situazione…” – e il corpo cambia: il respiro si fa corto, la mente corre, la voce interiore si accende. È una reazione profondamente umana. Quando si parla di nostro figlio, si parla anche di noi. Ogni parola rivolta al bambino sfiora la parte più vulnerabile del genitore, quella che silenziosamente si domanda: “Sto facendo abbastanza? Mi è sfuggito qualcosa? Dove avrei potuto essere più presente?” Nel nostro lavoro al Centro Pedagogico Napolitano questo è evidente: durante i periodi di colloqui le richieste di consulenza aumentano. Non perché le famiglie siano fragili, ma perché investono molto sull’educazione dei figli e desiderano comprenderli davvero. Il punto di vista degli insegnanti: il peso delle parole. Anche l’insegnante arriva al colloquio con il suo carico emotivo. Sa di dover nominare difficoltà, comportamenti critici, incertezze. Sa che ogni parola può essere interpretata, amplificata o fraintesa. Molti docenti raccontano il timore di essere percepiti come giudicanti: “Capirà che non sto criticando lui?” “Penserà che ce l’ho con suo figlio?” “Riuscirò a spiegare senza ferire?”
La pedagogia ci ricorda che ogni relazione educativa vive in un equilibrio delicato: tra autenticità e cura, tra sincerità e protezione. Quando le emozioni prendono spazio – da una parte o dall’altra – la prospettiva può sfumare e lasciare il posto a difese, interpretazioni o sensi di colpa. Rimettere al centro il bambino: l’alunno come traiettoria, non come giudizio. Durante i colloqui, il rischio è ridurre un bambino a un episodio, a un voto, a una difficoltà. Ma il percorso scolastico non è un’istantanea: è un viaggio.
Un viaggio fatto di: passi avanti e passi indietro ,lentezze che non sono fallimenti, salti in avanti che arrivano all’improvviso, cadute che servono ad alzarsi meglio.
Un alunno non è una prestazione, ma una traiettoria. La valutazione – quando è autentica – non giudica: orienta.
Una verità semplice: genitori e insegnanti vogliono la stessa cosa
Nel mio lavoro di supervisione pedagogica vedo spesso scene simili: genitori che si sentono giudicati, insegnanti che si sentono poco compresi. Eppure, se si ascolta davvero, le intenzioni sono le stesse: entrambi vogliono che quel bambino cresca bene, trovi sicurezza, maturi competenze, si senta capace. La tensione nasce dalle emozioni profonde che abitano la relazione educativa: ricordi scolastici personali, aspettative, timori, desideri. Sotto questa superficie emotiva, però, c’è un obiettivo comune: sostenere il bambino.
Consigli concreti per i genitori
Ascoltare prima di rispondere
Dare a sé stessi qualche secondo per respirare permette di accogliere meglio ciò che viene detto.
Chiedere sempre quali sono i punti di forza del proprio figlio
Questo aiuta a mantenere una visione equilibrata e a evitare che una difficoltà diventi “tutto”.
Considerare lo sguardo dell’insegnante come complementare, non come opposto
A casa si vede il bambino in un contesto affettivo; a scuola in un contesto sociale e regolato. Entrambe le prospettive sono vere.
Chiedere esempi concreti e strategie operative
“Quando succede?”, “Come posso aiutarlo a casa?”, “Quali passi possiamo fare insieme?”.
Uscire dal colloquio con un piano condiviso
Anche un piccolo obiettivo comune crea continuità tra casa e scuola.
Consigli concreti per gli insegnanti
Parlare di comportamenti, non di identità
“Fa fatica a concentrarsi” è diverso da “È distratto”.
La prima frase apre possibilità, la seconda chiude.
Cominciare da ciò che funziona
Partire dai punti di forza abbassa le difese e crea fiducia.
Essere chiari, specifici e delicati
Nominare ciò che si osserva senza interpretazioni affrettate.
Dare indicazioni pratiche ai genitori
Non solo la difficoltà, ma anche i passi per affrontarla: routine, strategie, tempi.
Ricordare che il genitore arriva già emotivamente esposto
Un tono accogliente e una postura collaborativa cambiano l’intero clima del colloquio.
Costruire un “noi”: la vera alleanza educativa
Forse il senso più profondo dei colloqui è proprio questo:ricordare che scuola e famiglia non sono due poli opposti, ma due radici dello stesso albero.
Radici diverse, sì. Ma entrambe indispensabili. Quando si avvicinano, quando si parlano davvero, quando smettono di difendere e iniziano a collaborare, il bambino cresce più sicuro, più diritto, più sereno. E accade qualcosa di semplice e decisivo: l’alunno si sente visto. E un bambino che si sente visto…si apre, impara, sboccia.